Al via ieri, 6 novembre 2022, la Conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite a Sharm el-Sheikh. Assenti i grandi inquinatori del Pianeta: India, Russia e Cina. Quest’anno, tra gli osservatori, è presente anche Istituto Oikos.
Negli ultimi 30 anni il cambiamento climatico è passato dall'essere una questione marginale a una priorità globale. In questo periodo, le Conferenze annuali delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici hanno rappresentato momenti fondamentali (come con l'accordo di Parigi nel 2015), ma hanno anche conosciuto fallimenti: ad esempio, durante la COP15 di Copenaghen, nel 2009, l’obiettivo di stabilire un accordo globale sul clima è stato rimandato al 2015.
La COP27 di questo anno si svolge in uno scenario molto complesso, tra guerra in Ucraina e conseguente crisi energetica e gli effetti sempre più visibili della crisi climatica: l'estate più calda e secca d'Europa da 500 anni, un milione di sfollati in Nigeria a causa della peggiore inondazione di sempre e gli incendi in California non sono altro che alcune delle conseguenze della crisi climatica che non possono più essere definite “emergenze”.
La necessità di un'azione forte per il clima non è mai stata così urgente. Nonostante alcuni limiti dimostrati nelle edizioni passate, le COP sono l'unico forum sulla crisi climatica in cui le opinioni e le preoccupazioni dei paesi più poveri hanno lo stesso peso di quello delle maggiori economie mondiali. Un'occasione, quindi, da non sprecare.
Che cos'è la COP?
La COP è un vertice annuale sul clima convocato dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), un organismo delle Nazioni Unite per il clima. L’acronimo COP sta per “Conferenza delle Parti”; quella del 2022 è la ventisettesima ed è appena cominciata: si svolge dal 6 novembre al 18 novembre 2022 a Sharm el-Sheik, in Egitto.
Cosa succede durante una COP?
Le COP cominciano con una cerimonia di apertura e nei giorni seguenti i leader mondiali parlano di cambiamento climatico concentrandosi su ciò che i loro paesi intendono fare al riguardo o sulle conseguenze negative che stanno vivendo. Nei restanti giorni vengono affrontati temi come finanza ed energia e i politici e i leader aziendali espongono le proprie idee e posizioni su impegni, coalizioni e progetti.
Tra tutte le COP, quella del 2015 ha rappresentato una pietra miliare, quando è stato firmato l'accordo di Parigi. In quell’occasione si è deciso che ogni cinque anni i paesi avrebbero presentato i loro piani per ridurre le emissioni di gas serra e affrontare il riscaldamento globale. Il primo appuntamento in questo senso sarebbe dovuto quindi essere nel 2020, ma è stato cancellato a causa della pandemia di COVID-19. E così la COP26 dell'anno scorso a Glasgow è diventata una delle più attese e importanti.
I partecipanti alla COP sono rappresentanti di governi o organizzazioni di "osservatori", come enti del terzo settore e ONG. Quest’anno, per la prima volta sarà presente come Observer Organization anche Istituto Oikos. "Ci auguriamo fortemente che la COP27 onori l'impegno di raddoppiare i finanziamenti per i programmi di adattamento – afferma da Sharm el-Sheik Francesca Santapaola, responsabile Comunicazione ed Educazione di Oikos – E che oltre alla progressiva e rapida eliminazione dei combustibili fossili riconosca il ruolo centrale della protezione della Natura nelle misure di contrasto ai cambiamenti climatici".
Sono presenti 197 Stati organizzati in cinque gruppi regionali: Africa, Asia, Europa orientale, America Latina e Caraibi, Europa occidentale e altri Stati (tra cui Australia, Canada e Stati Uniti).
In parallelo, al di fuori delle porte della conferenza, spesso gli attivisti manifestano contro gli impegni, ritenuti superficiali, e l'inerzia della politica. Quest’anno il timore è che la partecipazione della società civile all'evento possa essere molto contenuta a causa delle limitazioni delle manifestazioni imposte in Egitto.
Cosa è successo all’ultima COP?
La COP26 avrebbe potuto essere un’occasione fondamentale per contrastare la crisi climatica. Occasione che tuttavia sembra essere stata sprecata. Infatti è stato stimato che, sulla base degli impegni presi dai leader delle Nazioni Unite, l’impegno di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C non sia realizzabile e che, al contrario, sia ipotizzabile un riscaldamento compreso tra 1,8 e 2,4 °C (Dr Fatih Birol, 2021). Per ciò che invece riguarda gli investimenti per il clima, nel 2009 era stato stabilito di fornire 100 miliardi di dollari all'anno per sostenere le nazioni più vulnerabili con azioni di mitigazione e di adattamento. Questo obiettivo avrebbe dovuto essere raggiunto nel 2020, tuttavia si stima non sarà raggiunto prima del 2023.
Cosa ci si aspetta dalla COP27?
I paesi industrializzati dovrebbero mantenere l’impegno ad assegnare 100 miliardi di dollari all'anno ai paesi più vulnerabili alla crisi climatica con effetto immediato e fino al 2025. Inoltre dovrebbe essere concordato un obiettivo finanziario post 2025 più ambizioso, deciso in collaborazione con i paesi del sud del Mondo e le comunità che più risentono degli effetti dei cambiamenti climatici. Negli anni a seguire, inoltre, sarà necessario perfezionare le azioni di adattamento e mitigazione agli effetti negativi del cambiamento climatico attuale e futuro. "Investire nell'adattamento non significa accettare la sconfitta e il fallimento. È accettare la realtà", ha detto a Global Citizen nel 2021 Christina Chan, direttrice della Climate Resilience Practice presso il World Resources Institute.
Si dovrà inoltre tenere conto di perdite e danni provocati dagli impatti distruttivi del cambiamento climatico che non possono essere evitati né con la mitigazione né con l'adattamento. Questi sono suddivisi in perdite e danni economici, compresi i mezzi di sussistenza e le proprietà, e perdite e danni non economici, come la perdita di vite umane, di biodiversità e patrimonio culturale.
Tra gli altri punti fondamentali: l’eliminazione graduale dei combustibili fossili entro il 2025, il reinvestimento dei relativi finanziamenti in sistemi energetici puliti e sostenibili, e l’eliminazione del carbone entro il 2030.
Ma le speranze che alla COP27 si raggiungano accordi importanti sono piuttosto ridotte, per varie ragioni.
Innanzitutto, i leader di alcuni tra i paesi più inquinanti al mondo – Russia, Cina e India – non parteciperanno. Paesi, tra l’altro, con i target meno ambiziosi sul fronte zero emissioni: sono infatti fissate al 2060 per Russia e Cina (quest’ultima, il primo Paese al mondo in termini di emissioni di CO2, che pesano sul totale delle emissioni globali per il 33%) e al 2070 per l’India.
C'è poi una questione legata al paese ospitante, l'Egitto, una dittatura in cui i diritti civili e politici sono violati e repressi. È proprio questa una delle ragioni per cui l’attivista Greta Thunberg ha deciso di non partecipare.
A complicare il quadro, la crisi energetica provocata dalla Russia in seguito alla guerra in Ucraina: i prezzi sono schizzati alle stelle, gli approvvigionamenti sono sempre più scarsi e di conseguenza l’adozione di fonti di energia rinnovabile è drasticamente rallentata.
Nello scenario internazionale attuale è quindi difficile prevedere quali saranno gli esiti della COP27. Quello che è certo è che il nostro modello di produzione e consumo dovrà necessariamente cambiare e che, per questo cambiamento, è richiesto un impegno urgente e non più rimandabile dei governi di tutto il mondo.
Riferimenti
Dr Fatih Birol, E. D. (2021, novembre 4). COP26 climate pledges could help limit global warming to 1.8 °C, but implementing them will be the key. Tratto da Sito Web International Energy Agency: https://www.iea.org/commentaries/cop26-climate-pledges-could-help-limit-global-warming-to-1-8-c-but-implementing-them-will-be-the-key
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