Ecco come è cominciata l’avventura di Istituto Oikos in Myanmar: un impegno per la tutela della biodiversità e la valorizzazione di un’antichissima cultura, quella dell’etnia Moken, gli “zingari del mare”
Tutto è cominciato nel 2006 con alcune diapositive e una grande voglia di accettare le sfide. Un conoscente di Rossella Rossi, Presidente di Istituto Oikos, fece una presentazione che ci lasciò a bocca aperta: davanti ai nostri occhi scorrevano le immagini di isole tropicali, foreste di mangrovie, una ricca varietà di animali selvatici, piccole barche di pescatori come unica presenza umana in paesaggi incontaminati...
L’avventura di Oikos nell’arcipelago di Myeik, Myanmar, cominciò nel 2008, per condurre le ricerche necessarie a scrivere un progetto per la tutela del Parco Nazionale Marino di Lampi. Siamo partiti da Kawthaung, punto di ingresso in Myanmar dalla Thailandia, con una delle sole 20 imbarcazioni ad avere il permesso per visitarlo.
Il catamarano procedeva a una lentezza estenuante, i motori si rompevano continuamente e siamo rimasti più volte bloccati in mezzo al mare. Avevamo solo due settimane per raccogliere le informazioni che ci servivano. In quella traversata ciò che più mi colpì furono le barche, disperse in quel mare a giornate di navigazione dai villaggi; i Moken, popolazione seminomade che vive nell’arcipelago, trascorrevano settimane intere a bordo, pescando senza reti né trappole. La notte invece si illuminava di barche thailandesi che entravano in Myanmar illegalmente per pescare il più possibile.
All’epoca solo un paio di ONG internazionali in campo ambientale avevano i permessi per lavorare nel paese, e nessuna a Lampi, per ragioni di sicurezza dovute al difficile accesso. Andavamo almeno una volta al mese a Nay Pyi Taw, la nuova capitale, per convincere il governo che Lampi era un luogo di primaria importanza, e che era necessario proteggerlo. Ci hanno concesso un permesso di un anno, e nel 2009 il progetto fu approvato dall’Unione Europea. Da allora le autorità ci rinnovano continuamente i permessi e l’esclusività per lavorare nella zona.
Quell’anno sono cominciate le vere e proprie spedizioni insieme a ricercatori birmani. Ci appoggiavamo alle case dei pescatori, che non avevano mai avuto ospiti internazionali. Un giorno, non sapendo cosa prepararci da mangiare, hanno cucinato grossi granchi e aragoste davanti ai nostri volti increduli. Mi colpì molto questo gesto, perché i locali mangiano raramente il pesce, lo pescano per venderlo in Thailandia: è questa la loro principale fonte di guadagno.
Con il progetto abbiamo costruito l’ufficio del parco e la foresteria. Tra il 2010 e il 2012 il Ministero dell’Ambiente birmano ha assegnato staff temporaneo con cui abbiamo iniziato a preparare il primo Piano di gestione del Parco, poi approvato dal governo. Fin dall’inizio abbiamo adottato un approccio partecipativo, coinvolgendo istituzioni, comunità ed enti di ricerca. Con la ONG locale BANCA e l’Università dell’Insubria abbiamo identificato più di 1000 specie entro i confini del Parco, e ogni anno ne sappiamo sempre di più, perché la lista è in continuo aumento.
Oggi posso dire che la conquista più importante è stata fare esistere davvero il Parco, cominciare a gestirlo e a proteggerlo. Tante delle isole dove oggi osserviamo gli uccelli o cerchiamo i nidi delle tartarughe sarebbero state invase da piantagioni di gomma o palma da cocco. È migliorata la gestione dell’acqua, dei rifiuti e delle latrine, e negli ultimi anni sono nate piccole attività come artigianato e guide turistiche, opportunità economica importante soprattutto per i giovani.
Vorrei dire che mi piacerebbe che Lampi restasse com’era quando sono arrivata. Ma ci sono grossi piani di sviluppo turistico, quindi cerco di essere realista e spero che il turismo crei posti di lavoro e migliori i servizi essenziali per la popolazione locale. E che si protegga ciò che di più prezioso c’è nell’arcipelago: la biodiversità e la cultura Moken, intimamente legate tra loro. Solo così potremo dire di aver avverato quel sogno che ci è passato davanti agli occhi nel momento in cui abbiamo visto quelle diapositive.
Lara Beffasti, Programme manager Myanmar
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