Il bicchiere mezzo pieno: l’acqua invisibile


L’acqua, risorsa basilare e prioritaria, bene comune dell’umanità: l'“oro blu” da cui tutti dipendiamo

Visto dallo spazio il nostro pianeta assomiglia a una gigantesca biglia blu. L’acqua infatti ricopre più del 70% della superficie terrestre e nel 97% dei casi si trova negli oceani. Questo significa che, nonostante questa abbondanza, solo una piccola percentuale è acqua dolce: circa il 3%, e per la maggior parte è ghiacciata. Di fatto, solo circa l’1% è disponibile per il consumo. 
È intorno a questa risorsa preziosa e indispensabile alla vita che si sono sviluppate le popolazioni umane e si è evoluta la società moderna. È stata l’originaria abbondanza di acqua in determinati territori a indurre le popolazioni umane a diventare sedentarie, a coltivare la terra e ad allevare animali. Ma se, secondo le stime, prima dell’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento la popolazione mondiale contava tra i 3 e i 5 milioni di persone, da allora il numero di individui è cresciuto in maniera smisurata (proprio anche grazie allo sfruttamento di questa risorsa). E ciò ha portato in parallelo a un progressivo aumento del consumo dell’acqua.
Attualmente, secondo la Population Division delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale ha raggiunto i 7,7 miliardi e la richiesta totale di acqua potabile è pari a circa 5.500 km3 per anno, ossia 5,5 milioni di miliardi di litri. Le previsioni suggeriscono che la domanda di acqua aumenterà del 55% entro il 2050 a causa della crescita della produzione manifatturiera (+400%), della produzione di energia termica (+140%) e dell'uso domestico (+130%). Anche i settori dell’informatica e della tecnologia contribuiscono a tale domanda (OECD 2012).

Cambiamenti climatici e siccità
La disponibilità e la qualità dell'acqua è quindi una preoccupazione globale, in crescita anche a causa della stretta correlazione con la crisi climatica (UNESCO 2020). 
La crisi climatica sta già influenzando la disponibilità delle risorse idriche, per esempio riducendo l’umidità del suolo, la portata dei fiumi e l’alimentazione delle acque sotterranee. Capire in che modo, quando e dove questi effetti avranno le conseguenze peggiori è complesso perché dipende da una moltitudine di fattori, come le condizioni del suolo, la geologia, la vegetazione e l’uso locale dell’acqua. È proprio a causa di questa complessità che spesso la scarsità d’acqua nel sottosuolo dura più a lungo del periodo di siccità che la ha provocata (Changnon 1987). La giusta umidità dei suoli contribuisce a garantire la resilienza della biosfera, a trattenere CO2 e a regolare la circolazione atmosferica. Ma, a causa del riscaldamento globale e della deforestazione, le foreste hanno perso un notevole quantitativo di umidità e i suoli si stanno inaridendo sempre di più.
Le inondazioni, invece, possono avere un impatto sulla disponibilità di acqua, sui servizi igienico-sanitari e su altri aspetti del sostentamento umano attraverso danni alle infrastrutture e ai servizi chiave (UNESCO 2020).
Studiare ciò che accade nell’area mediterranea è fondamentale perché rappresenta una zona nevralgica, un vero “hotspot” per i cambiamenti climatici. In Italia in particolare, la siccità sta aumentando maggiormente al centro nord (Fioravanti 2014). Anche gli eventi climatici estremi, come le precipitazioni che hanno causato, per esempio, le alluvioni in Liguria nel 2011 e in Sardegna nel 2013, hanno ripercussioni sociali ed economiche pesantissime con ingenti perdite umane e materiali. Tutto ciò andrebbe tenuto presente nella progettazione territoriale, non solo tenendo conto della media delle precipitazioni in un determinato periodo, ma anche del rischio di eventi estremi e delle conseguenze sul degrado del suolo.
Le immagini del fiume Po, diffuse nelle scorse settimana dall’Agenzia Spaziale Europea, sono il volto della peggiore siccità degli ultimi 70 anni in Italia. A peggiorare la situazione è la risalita dell’acqua marina dal delta, il cosiddetto cuneo salino, che preoccupa gli agricoltori per i danni alla fertilità del suolo. 

Rimarremo senza acqua dolce?
Come sempre, le risposte non sono mai univoche e la realtà è più complessa di come appare. Andando a ripescare nei cassetti della memoria, a tutti noi torna in mente di avere, almeno una volta, sentito parlare di ciclo dell’acqua. E da quello che abbiamo studiato a scuola sappiamo che l’acqua non scompare, ma semplicemente si sposta. Quindi dove va l’acqua che adesso non è nelle riserve idriche, ossia nei fiumi, nei laghi e nelle falde acquifere? Sono le condizioni metereologiche a determinarlo e a spostarla sotto forma di vapore acqueo. Oggi sappiamo che il riscaldamento globale provoca uno sbilanciamento nella disponibilità di acqua minima necessaria alla sopravvivenza in diverse zone del mondo: l’acqua viene consumata velocemente e in maniera poco uniforme sul pianeta, con grandi consumi dove c’è meno disponibilità e grande disponibilità dove ci sono meno consumi.  

Impronta idrica: cos’è e che dimensioni ha
Ogni giorno, in base alla nostra dieta, insieme al cibo che assumiamo e l’acqua che utilizziamo, ingeriamo dai 2000 ai 5000 litri di acqua nascosta, invisibile. Si tratta dell’acqua celata nei processi produttivi e di cui spesso ignoriamo l’esistenza. Per essere quantificata si usa la cosiddetta impronta idrica: ossia la quantità d’acqua necessaria per produrre beni e realizzare servizi che la popolazione umana utilizza.
Le componenti dell’impronta idrica sono tre:
•    L’acqua verde: proveniente dalle precipitazioni e immagazzinata nel terreno, tra le radici della vegetazione
•    L’acqua blu: proveniente dalle risorse idriche di superficie e sotterranee
•    L’acqua grigia: necessaria ad assimilare sostanze inquinanti per soddisfare specifici standard di qualità ambientale

Di queste migliaia di litri d’acqua consumati pro-capite, circa il 4,4% è utilizzato nei cicli industriali, il 3,6% per la cucina, la pulizia e per bere, mentre il restante 92% è utilizzato dall’agricoltura e dall’allevamento (Mautino B. 2022).

Attingere a riserve già compromesse
Si sente dire spesso che la responsabilità di questa carenza siano i consumi dei singoli o le perdite della rete idrica, che in alcuni casi raggiunge i due terzi (ed è sicuramente un problema reale). Ma il fatto che la stagione calda inizi prima, che le riserve di neve sulle Alpi si sciolgano mesi prima e che le precipitazioni, di solito abbondanti in primavere, siano scarse, fa sì che il terreno sia già secco a giugno, quando dovrebbe avere ancora un carico di umidità residuo utile all’agricoltura. Questo causa uno sfasamento tra la disponibilità di acqua nelle riserve e l’acqua delle precipitazioni. Ormai le coltivazioni e le operazioni indispensabili all’allevamento hanno dei ritmi che non sempre coincidono con le precipitazioni: a giugno inizia il periodo più intenso per l’agricoltura e, normalmente, inizia il periodo più secco, per cui a luglio si deve irrigare molto di più per compensare. Quello che sta succedendo è che questa condizione si verifica molto prima ed è quindi necessario anticipare le irrigazioni, andando ad attingere da fiumi e laghi, riserve d’acqua già compromesse dalla mancanza di precipitazioni. In pratica le attività agricole e di allevamento sono tarate su ritmi diversi da quelli delle precipitazioni. E questo è un problema.

L’impronta idrica nel piatto
Qualsiasi alimento che consumiamo ha un’impronta idrica. Il Water Footprint Network (Water Footprint Network s.d.) ha confrontato la quantità di acqua utilizzata per vari prodotti agricoli e derivati animali: è emerso che i prodotti di origine animale hanno un’impronta idrica maggiore rispetto a qualsiasi alimento vegetale, in quanto alla produzione del mangime si aggiunge quella necessaria all’abbeveraggio e alla pulizia degli spazi. Per produrre una tonnellata di carne bovina servono più di 15000 litri d’acqua, per quella di pollo più di 4000, mentre per la stessa quantità di cereali circa 1600 e per la verdura circa 320 litri per tonnellata. Il terreno agricolo viene utilizzato per la maggior parte per la produzione di mangime per il bestiame da macello (circa il 77%), ma il ritorno in termini nutrizionali non è proporzionale allo sforzo produttivo. Infatti, la carne rappresenta solo il 17 % del fabbisogno calorico globale e il 33 % di quello proteico. Questo tipo di utilizzo del suolo agricolo, di fatto, si rivela inefficiente per ricavare il nutrimento necessario alle popolazioni umane, e ha un impatto fortissimo sulle emissioni globali, con quasi il 15% delle emissioni di CO2.  Ed è inoltre la principale causa della deforestazione. 

Abbiamo superato i limiti
Sono 9 i limiti planetari (Rockström 2009), ossia soglie calcolate su scala globale, che non dovremmo superare per garantire una vita confortevole e condizioni favorevoli non solo all’umanità, ma anche agli ecosistemi. E, dopo aver superato quelli relativi all’alterazione climatica, all’integrità della biosfera, alla modifica del suolo, cicli bio-geochimici e le sostanze inquinanti, è stato da poco annunciato (Wang-Erlandsson 2022) che abbiamo superato anche il sesto limite: il consumo di acqua dolce e il ciclo idrologico. Nello studio si fa riferimento al fatto che vada considerata anche l’“acqua verde” e non solo la componente “blu”, come fatto finora. Infatti, come abbiamo visto, la giusta umidità dei suoli è fondamentale per la resilienza dei terreni agricoli, ma soprattutto di tutta la biosfera. 
Il genere umano ha a disposizione abbastanza acqua potabile per soddisfare, a livello globale, sia gli usi diretti sia quelli indiretti (irrigazione, allevamento di animali, usi sanitari e industriali). 

Consumare meno acqua o migliorare l’accesso a quella già disponibile?
Tuttavia, ci sono regioni del mondo in cui la disponibilità è limitata rispetto alla popolazione, cresciuta esponenzialmente in molte zone. Secondo il World Water Development Report del 2018, quasi la metà della popolazione mondiale vive in aree che sono potenzialmente carenti di acqua almeno un mese all'anno. 
Si prevede che nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 9,8 milioni di individui, ma il consumo annuale, anche se crescesse proporzionalmente, rimarrebbe ben al di sotto della quantità di acqua blu disponibile. Quindi il problema da risolvere non è solo come consumare meno acqua, ma come migliorare l’accesso a quella già disponibile. 

Nuove politiche e nuova normalità
In alcuni Paesi, come gli Stati Uniti occidentali, dove il problema della siccità è presente da diverso tempo, si stanno già facendo tentativi di mitigazione, anche con approcci differenti: non considerare la situazione attuale un’“emergenza siccità”, quindi una condizione occasionale, ma una nuova normalità, uno stato di aridificazione (ossia un periodo lungo che provoca perdita di fertilità del suolo) precedente ai processi di desertificazione. 
Il comportamento di ognuno di noi è necessario per diminuire gli sprechi, ma non è sufficiente. Per mitigare gli effetti dei fenomeni di aridificazione a cui andremo incontro occorrono politiche globali e una volontà concreta di adottare misure volte alla riduzione delle emissioni di CO2, una gestione dell’acqua dolce più oculata (per esempio, creando riserve durante i periodi con maggiori precipitazioni), la coltivazione di specie vegetali che meglio si adattano ai climi aridi. Contemporaneamente, è essenziale adattare i ritmi della coltivazioni alle nuove condizioni climatiche che, presto o tardi, dovremo smettere di chiamare “crisi”, e accettare come una nuova normalità. 

Riferimenti
Changnon, Stanley. "Climate Fluctuations and Record-High Levels of Lake Michigan." Bulletin of the American Meteorological Society 68, no. 11 (1987): 1394 - 1402.
Fioravanti, Guido. Analisi statistica degli estremi di precipitazione in Italia. Stato dell'ambiente 51/2014, Roma: ISPRA, 2014.
Mautino B., Menietti E. "Un'estate all'asciutto (n.12) (Podcast audio)." Ci vuole una scienza. 1 luglio 2022.
OECD. OECD Environmental Outlook to 2050: The Consequences of Inaction. Parigi: OECD Publishing, 2012.
Rockström, J., W. Steffen, K. Noone, Å. Persson, F. S. Chapin, III, E. Lambin, T. M. Lenton, M. Scheffer, C. Folke, H. Schellnhuber, B. Nykvist, C. A. De Wit, T. Hughes, S. van der Leeuw, H. Rodhe, S. Sörlin, P. K. Snyder, R. Costanza, U. Svedin, M. Falke. "Planetary boundaries:exploring the safe operating space for humanity." Ecology and Society 14, no. 2 (2009): 32.
UNESCO. The United Nations world water development report 2020: water and climate changE. UNESCO, 2020.
Wang-Erlandsson, L., Tobian, A., van der Ent, R. J., Fetzer, I., te Wierik, S., Porkka, M., ... & Rockström, J. "A planetary boundary for green water." Nature Reviews Earth & Environment 3 (2022): 380–392.
Water Footprint Network. Water footprint of crop and animal products: a comparison. n.d. https://waterfootprint.org/en/water-footprint/product-water-footprint/water-footprint-crop-and-animal-products/ (accessed luglio 4, 2022).

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