La storia evolutiva dei cetacei: un viaggio tra terra e mare che dura da 55 milioni di anni
Cos’hanno in comune una balena e un ippopotamo? Il loro bis bis bis bis bisnonno!
Riuscire a trovare delle somiglianze tra cetacei e ippopotami è praticamente impossibile, ma la biologia molecolare ci può aiutare. Le analisi genetiche, infatti, hanno rivelato che i cetacei sono imparentati con gli artiodattili, un gruppo di mammiferi ungulati che include fra gli altri maiali, cammelli, mucche e, appunto, gli ippopotami. Questa parentela si riflette in caratteristiche biologiche comuni come l’assenza di peli, l’utilizzo di vocalizzazioni subacquee e la presenza di ossa spesse e robuste. Gli antenati terrestri di balene e delfini appartenevano a questo gruppo e più precisamente alla famiglia dei raoellidi che, circa 55 milioni di anni fa, dalla terra iniziarono a spostarsi verso l’acqua dolce.
I primi veri e propri cetacei però furono i pakicetidi, animali il cui aspetto oggi ricorderebbe vagamente i lupi: con musi e code allungate, capaci di guadare i corsi d'acqua grazie alla loro pesante struttura corporea.
Sei milioni di anni dopo apparvero i primi cetacei marini: gli ambulocetidi. Sebbene fossero nuotatori più abili, il loro corpo non ricordava ancora quello di un delfino, ma piuttosto quello di un coccodrillo, con zampe corte e forti, un muso allungato e una coda possente.
Da lì a 10 milioni di anni, uno schiocco di dita parlando di evoluzione, i cetacei avrebbero cambiato totalmente la loro forma, diventando i mammiferi meglio adattati alla vita acquatica.
Ma cosa li spinse a lasciare la terraferma per colonizzare l'ambiente marino? Forse la ricchezza di risorse disponibili o la scarsa competizione con altre specie. Quel che è certo è che, grazie ai loro straordinari adattamenti, i cetacei sono riusciti a conquistare i mari.
Una forma già vista
Pesci, squali, foche e delfini: condividono uno stile di vita acquatico e una forma del corpo perfettamente adattata al nuoto. Tuttavia, queste somiglianze non sono il risultato di un'origine comune, ma di un fenomeno chiamato convergenza evolutiva, per cui specie diverse non strettamente imparentate sviluppano caratteristiche simili in risposta a pressioni ambientali analoghe.
Nel corso della loro storia i cetacei hanno perso i tratti tipici dei mammiferi come la pelliccia e la quadrupedia, favorendo un corpo dalla forma idrodinamica che riuscisse a minimizzare l’attrito con l’acqua. Gli arti anteriori si sono trasformati in pinne pettorali, i posteriori sono scomparsi e si è sviluppata una potente coda, mentre il naso è migrato in alto, diventando lo sfiatatoio.
Questi adattamenti permettono ai cetacei di raggiungere velocità notevoli, come i 60 km/h del delfino comune (Delphinus delphis). Questa specie misura circa un metro e mezzo di lunghezza ed è presente anche in Mediterraneo, e con la sua velocità riesce a coprire circa 17 metri in un singolo secondo!
Nonostante questi adattamenti, sotto la superficie emergono ancora tracce del loro passato terrestre. Alcune specie mostrano infatti piccole ossa vestigiali nel bacino, residui non funzionali delle antiche zampe posteriori e, se facessimo una radiografia, le pinne pettorali rivelerebbero cinque dita, proprio come le nostre mani.
Restare caldi
Regolare la propria temperatura in acqua non è per niente semplice. Pensiamo alle nostre estati e al breve lasso di tempo in cui riusciamo a resistere in mare prima di avere freddo: accade per via dell’alta conduttività termica dell’acqua. Come fanno quindi i cetacei a sopravvivere? È merito di un altro adattamento: il blubber, uno strato di grasso sottocutaneo con eccezionali capacità isolanti. Il record per il blubber più spesso appartiene prevedibilmente a una balena tipica delle acque artiche e subartiche, la balena della Groenlandia (Balaena mysticetus). Questa specie è dotata di uno spesso strato di grasso sin dalla nascita, che negli adulti può arrivare a misurare fino a mezzo metro.
Sopravvivere in profondità
Tutti i cetacei devono raggiungere la superficie per respirare, ma alcuni hanno bisogno di arrivare a più di 2000 metri di profondità per cacciare. Per questo alcuni di loro, tra cui i capodogli, sono diventati degli specialisti dell’apnea. Come? Uno degli adattamenti fondamentali è l’alta concentrazione di emoglobina e mioglobina all’interno di sangue e muscoli. Questi due pigmenti respiratori sono capaci di immagazzinare ossigeno nei tessuti che ne hanno più bisogno. Ma non finisce qui, perché per prolungare l’apnea i capodogli sono capaci anche di rallentare il proprio battito cardiaco (bradicardia) ed escludere alcuni organi dal circolo sanguigno, così da garantire un apporto adeguato agli organi vitali come il cervello.
Lo straordinario percorso evolutivo dei cetacei, cominciato 55 milioni di anni fa sulla terraferma, continua ancora oggi, dando vita a una sorprendente varietà di forme, comportamenti e adattamenti. Tra balene, delfini e focene, le specie che si sono differenziate nel tempo sono ben 94, ciascuna essenziale per garantire l’equilibrio dell’ecosistema a cui appartiene.
Riferimenti
Thewissen, J G M & Cooper, Lisa & George, John & Bajpai, Sunil. (2009). From Land to Water: the Origin of Whales, Dolphins, and Porpoises. Evolution Education and Outreach. 2. 272-288. 10.1007/s12052-009-0135-2.
Thomas, Allison, et al. "EXTREME ADAPTATIONS IN CETACEANS: DEEP DIVING BEHAVIOR AND PHYSIOLOGY." The CROW (2017): 7.
Giuseppe Notarbartolo di Sciara, Massimo Demma,
Guida dei mammiferi marini del Mediterraneo, Franco Muzzio Editore, Roma 2004
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