La marmotta: la piccola vedetta alpina


Sentinella e preda insieme, questa specie gioca un ruolo chiave nell'ecosistema alpino. Filippo Zibordi, zoologo e divulgatore scientifico, ci racconta perché.

Con un peso corporeo che può superare i sei chilogrammi, la marmotta è il più grande roditore alpino. E senza dubbio anche il più noto e facile da avvistare durante una escursione in montagna, grazie alla sua - apparentemente bizzarra - abitudine di “fischiare” ogni qual volta scorga un pericolo. Questo comportamento è legato alla vita sociale della specie: le marmotte vivono infatti in famiglie monogame composte da un maschio dominante, un’unica femmina riproduttiva ed eventualmente i piccoli, i subadulti (ovvero individui sviluppati ma non ancora sessualmente maturi) e altri adulti che svolgono il ruolo di helpers, aiutanti nelle “faccende domestiche”. Gli individui di ogni famiglia occupano un territorio condiviso, difeso dall’ingresso di estranei mediante scontri. La coesione familiare è mantenuta anche grazie ad alcuni comportamenti sociali come la pulizia reciproca, il gioco, il contatto tra i musi degli individui e, appunto, la vigilanza. 

Se tu aiuti me, io aiuto te
Per difendersi dai predatori le marmotte attuano una strategia preventiva: alternano le fasi in cui “pascolano”, alla ricerca di specie vegetali erbacee, alla vigilanza. Quando avvistano un pericolo, emettono dei segnali sonori anatomicamente generati dalla laringe a bocca aperta (propriamente quindi delle “grida”, non dei “fischi”). Si tratta di un comportamento per così dire altruistico: è svantaggioso per l’esemplare che emette il suono, che finisce per attirare verso di sé l’attenzione del potenziale predatore, ma porta un beneficio agli animali coi quali la “sentinella” ha un legame di parentela. Per questo viene interpretato dalla biologia evoluzionistica come kin selection, selezione parentale.
 

Minacce dal cielo, ma anche da terra
Le marmotte mettono in atto strategie e modelli comportamentali complessi, come quello appena descritto, che provoca la fuga repentina di tutti gli individui allertati dentro le tane. Lo fanno per cercare di fronteggiare una minaccia davvero temibile: quella della predazione, che rappresenta la seconda causa di morte per questi animali alto alpini, dopo il mancato superamento dell’inverno. Il principale predatore della marmotta è l’aquila reale, la cui dieta è costituita per l’80-90% da questo roditore: a essere predati sono soprattutto giovani, piccoli e, fra gli adulti, gli individui in dispersione, cioè quelli che vagano in cerca di un nuovo territorio in cui stabilirsi. Fra gli uccelli, anche l’astore può saltuariamente nutrirsi di marmotte, mentre il più pericoloso predatore terrestre è la volpe, che caccia per lo più da sola.  
 

Una specie chiave per la biodiversità alpina
Ribaltando la prospettiva, è evidente l’importanza che le marmotte rivestono nell’ecosistema alpino. Innanzitutto, nell’ambito delle relazioni interspecifiche la marmotta si rivela un’importante specie preda: è fondamentale nella dieta dell’aquila reale di cui, in molte aree delle Alpi, rappresenta la principale fonte alimentare. Studi condotti in Lombardia hanno peraltro testimoniato un’interazione mai descritta prima in letteratura tra la marmotta e la pernice bianca: è stata accertata la pur rara predazione delle uova di questo uccello. La marmotta alpina esercita d’altra parte un’influenza importante sulle specie vegetali di alta quota: è il loro consumatore principale e pertanto ne influenza la composizione e la struttura. Con l’attività di scavo, infine, le marmotte hanno effetti sulla micro e macro-fauna del suolo che a sua volta è fonte alimentare per altre specie, soprattutto uccelli, e dà origine a rifugi che possono essere sfruttati da lepri o volatili, come riparo dai predatori. 
 

Sentinelle delle Alpi, indicatori dello stato di salute degli ambienti alpini
È proprio per questo importante ruolo negli ambienti alto alpini, ecosistemi particolarmente fragili in tempi di cambiamenti climatici, che alcune aree protette italiane hanno avviato dei progetti a lungo termine di ricerca e monitoraggio. Nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, per esempio, dal 2006 si raccolgono dati sulle popolazioni di marmotte della Valsavarenche e si studia come la selezione naturale agisce sulle caratteristiche della specie: catture e osservazioni a distanza sono gli strumenti utilizzati per approfondire svariate linee di ricerca tra cui l’accrescimento ponderale degli individui, le differenze individuali nel comportamento e nella fisiologia, il comportamento sociale, l’uso dello spazio e la territorialità, i parassiti gastrointestinali (info qui).   
Analogamente, dal 2014 il Parco Nazionale dello Stelvio ha avviato uno studio sia nel settore trentino sia in quello lombardo del Parco che, attraverso catture, marcature e ricatture, permette di ricostruire la “storia” di ciascun esemplare, ossia di raccogliere dati biometrici e fisiologici un anno dopo l’altro. Le stime di abbondanza effettuate attraverso questa metodologia vengono inoltre confrontate con quelle ottenute da osservazioni a distanza con cannocchiali e binocoli, applicando differenti sistemi che non implicano la manipolazione degli animali: l’obiettivo è quello di individuare un metodo economico e poco invasivo che permetta di estendere il monitoraggio della specie su ampia scala, sia geografica che temporale, e di valutare sia la consistenza delle popolazioni presenti nel Parco, sia la loro variazione nel tempo. Il progetto si propone inoltre di indagare quali conseguenze possa avere sulla specie il cambiamento climatico, così evidente in ambiente montano. 

Le marmotte dunque non sono quindi solo dei tozzi roditori che ci fissano interrogativi, durante una gita estiva in quota, ritti sulle robuste zampe posteriori, prima di rifugiarsi in tana: sono anche degli indicatori dello stato dell’ecosistema alpino, utili per conoscere le dinamiche in atto e poter prendere le più opportune misure di conservazione ambientale.

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