Insieme alla diffusione del contagio del nuovo Coronavirus dobbiamo temere un’altra pandemia: l’inquinamento da plastica, che non accenna a scomparire dai nostri mari. Perché alla ricerca della totale sicurezza sanitaria ci stiamo – ancora una volta – ricoprendo di rifiuti.
Dal 2021 banditi piatti, posate e cannucce di plastica: il Consiglio dell’Unione Europea approva lo stop a stoviglie monouso (Direttiva UE 2019/904) con lo scopo di promuovere un approccio circolare ai consumi, privilegiando prodotti riutilizzabili, sostenibili e non tossici, anziché prodotti monouso. Questa direttiva però, che ha mosso i suoi primi passi nel 2018, non ha fatto i conti con la pandemia da Sars-CoV-2.
Il 2021 sarebbe potuto diventare l’anno del plasticfree e segnare una svolta, non solo nell’approccio all’economia circolare e ai nostri stili di vita, ma anche nella tutela ambientale. Una decisione forse da rivedere? Da rimandare? A causa di un “essere” 600 volte più piccolo del diametro di un capello, che ancora oggi la scienza non sa se definire vivente o non vivente, forse sì. Sembra infatti che affidare la nostra salute a materiali plastici monouso sia l’unica difesa dal virus oggi possibile. Non solo guanti, mascherine, visiere, ma camici in TNT, divisori in plexiglas, imballaggi e stoviglie: alla ricerca della totale sicurezza sanitaria ci stiamo – ancora una volta – ricoprendo di rifiuti.
Una stima preliminare del Politecnico di Torino prevede che in Italia saranno utilizzati fino a un miliardo di mascherine usa e getta e circa 500 milioni di guanti al mese, con una produzione di rifiuti di circa 70 mila tonnellate annue. I dispositivi di protezione individuale (DPI) sono costituiti principalmente da materiale composito e quindi non riciclabile e sono potenzialmente infetti: non si possono quindi differenziare né riciclare. La loro vita è brevissima, il loro destino è quello di diventare rifiuti in pochissimo tempo e l’uso massivo che ne stiamo facendo trasforma quei numeri in una potenziale minaccia ecologica.
In quest’ottica il corretto smaltimento diventa una priorità. È necessario dunque fare una distinzione tra i rifiuti sanitari, provenienti dagli ospedali, e quelli utilizzati dalla popolazione generica. I rifiuti come quelli derivanti dai dispositivi per la gestione dei pazienti Covid-19 sono considerati rifiuti sanitari pericolosi (D.P.R. 254/2003) a rischio infettivo e devono essere smaltiti mediante termodistruzione in impianti autorizzati (ai sensi del D.Lgs. 152/2006). Le mascherine e i guanti a cui ricorre la popolazione vengono invece considerati rifiuti urbani e l’Istituto Superiore della Sanità suggerisce di smaltirli nei contenitori destinati all’indifferenziato. Bisogna però fare un’ulteriore precisazione: in caso di positività a Sars-CoV-2 e isolamento presso il proprio domicilio l’ISS consiglia di non fare la raccolta differenziata, ma gettare tutti i rifiuti (mascherine e guanti compresi), in due o tre sacchi uno dentro l’altro, nell’indifferenziata.
L’impatto ambientale che si cela dietro questi numeri e a questa nuova quotidianità è reso ancora più grave dall’abbandono, più o meno consapevole, dei rifiuti nell’ambiente: guanti e mascherine ormai si trovano ovunque nelle strade delle nostre città, pronti a essere trasportati dal vento e dalla pioggia verso tombini e corsi d’acqua, tutti con un’unica destinazione finale: il mare. E lì resteranno, insieme agli altri 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica che ogni anno vi finiscono.
Anche la Presidente del WWF Donatella Bianchi esprime preoccupazione, affermando che “se anche solo l’1% delle mascherine venisse smaltito non correttamente e magari disperso in natura, questo si tradurrebbe in ben 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente”, che corrispondono a oltre 40 mila chilogrammi di plastica in natura.
La pandemia porta con sé non solo nuovi problemi, ma ci riporta indietro di anni nella soluzione di quelli vecchi e, dove una direttiva UE avrebbe rappresentato una svolta per la lotta all’inquinamento da plastica, un piccolo virus ci costringe a rimandare un necessario cambio di abitudini, con irrinunciabili disposizioni anti contagio che potrebbero avere un impatto enorme sulla salute dei nostri mari, e quindi del nostro Pianeta.
È essenziale riprogrammare la catena dell’uso e dello smaltimento dei DPI in un’ottica di sostenibilità: ad esempio con mascherine riutilizzabili, almeno per quelle definite di “comunità” (impiego non sanitario), pensare a contenitori appositi da installare nelle aree pubbliche e produrre dispositivi in polimeri unici e singoli componenti che non vadano smaltiti come rifiuti sanitari, ma che possano essere più facilmente smaltiti o riciclati.
È necessario far sì che l’emergenza coronavirus rimanga nei confini, seppur disastrosi, dell’emergenza sanitaria (e socioeconomica), impedendo che si trasformi anche nell’ennesima emergenza ambientale dalla quale, questa volta, rischiamo davvero di rimanere soffocati.
Sei interessato alle nostre attività?
Iscriviti alla nostra newsletter qui.